Fonte: http://esreport.wordpress.com/2011/02/08/lacrime-e-sangue/
L’obbiettivo è quello del califfato caucasico (qualsiasi cosa possa essere il califfato caucasico). Priorità è la lotta ai russi infedeli, Allah è grande. Umarov dice di non aver a che fare con Al Qaeda (c’è da chiedersi bene cosa sia Al Qaeda) e benedice i fratelli jihadisti dall’Afganistan alla Somalia. Manda segnali. Sa benissimo che non potrà mai raggiungere gli obbiettivi che dichiara, ma la promessa di lacrime e sangue basta a far tremare il Cremlino, incapace di difendersi. Riassumiamo.
Putin – Vladimir Vladimirovic ha un problema che si chiama Caucaso. È un problema che in dieci anni non è riuscito a risolvere e in parte ha contribuito a esasperare. Di fronte agli annunci, si è fatto ben poco. Lo dimostra il fatto che aver lasciato la Cecenia a Kadyrov non è servito a stabilizzare un bel niente, dato che soprattutto in Inguscezia e Daghestan si è trasferito il potenziale radicale. Le repubbliche russe del Caucaso sono praticamente in stato di guerra, non passa giorno che non ci siano attentati e attacchi contro obbiettivi militari e civili.
I terroristi – Umarov e l’ala internazionalista, chiamatela come volete, che dice di volere il benedetto califfato (a chi giova tenere in scacco il Cremlino?). Sono loro che organizzano attentati stile Londra e Madrid, modello Al Qaeda, nel cuore della Russia. L’ala caucasica, indipendentista, quella che recluta e combatte sul territorio periferico. Le bande organizzate e i clan che si scannano, perché no, anche tra di loro. Kadyrov non è mica un russo ortodosso, sono i suoi fratelli musulmani che lo farebbero volentieri fuori. Insomma chi più ne ha più ne metta, il groviglio è intricato.
Gli spettatori – Quando in un aeroporto o in metrò a Mosca volano brandelli di carne, allora anche l’Occidente si accorge che la Russia ha un problema. Come detto, il Cremlino ha le sue colpe nel non risolverlo, ma bisogna capire che una bomba nella capitale russa vale come una a Berlino o Roma. Già, perché basta un passo per non essere più spettatori. Nel 2014 in Russia ci sono le Olimpiadi (a Soci, sul Mar Nero, alle porte del Caucaso) e nel 2018 i Mondiali di calcio (in una mezza dozzina di città). I problemi del Caucaso non saranno certo risolti, al posto di Umarov ci sarà qualcun altro che ricorderà le promesse di oggi. Di più. Anche gli Europei del 2012 in Ucraina rischiano di diventare il primo palcoscenico postsovietico per lanciare segnali di sangue antirussi.